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L'ULTIMA MAGIA

12/4/2014

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Immagine
Il rapporto tra le storie che scrivo e le fotografie è molto stretto, mi capita spesso di vedere uno scatto e immaginarmi la sua storia, oggi è successo, ringrazio Claudio Turri, magistrale fotografo, per avermi concesso la possibilità di raccontare questa meraviglia.


Se ne stava lì immobile.

Incurante delle ombre che le sfilavano accanto sfiorandola distratte.
Ombre non persone, ombre.
Non le vedeva, non prestava loro attenzione,  poteva solo avvertire come uno spostamento d’aria, l’onda di conversazioni distanti, lo strascico confuso di pensieri in movimento.
Credeva nei segni, nel pensiero magico, in tutte quelle piccole manie che scandiscono la vita di tutti i giorni e che nessuno ammette mai d’avere.
Se trovo tutti i semafori verdi andrà bene, se finisco il caffè prima che il cameriere parli un’altra volta ci sarà di sicuro e via così di scaramanzie e auto convinzioni, nella speranza di rientrare nelle grazie di qualche dio benefico e solidale che imbroglia le carte mandando segnali.
Segnali a libera interpretazione, che davano alibi e  illusioni, che erano per loro natura ignorabili e manipolabili a seconda dei casi.
Lei lo sapeva che era tutto un imbroglio, che il gioco era dettare le regole e non vederne i risultati.
 Il più delle volte, ottenuto quel che desiderava, non si ricordava neanche più di quei tre giri su se stessa prima di uscire di casa o di quel chiudere compulsivamente i cassetti della scrivania che anticipavano una telefonata.
Sapeva che era solo un modo per farsi coraggio, per aggrapparsi a qualcosa, per non dover pensare che tutto era in balia del caso.
Che le decisioni spettassero solo a lei.
Se così non fosse stato non si sarebbe trovata lì in quel momento.
Niente era andato come doveva.
Tutti i suoi abracabadra le si erano rivoltati contro. Non una di quelle magie fai da te, aveva funzionato.
Il bollitore non aveva fischiato nello spazio di tempo stabilito, il gatto non era rientrato a casa e la metropolitana le era sfuggita per un soffio.
Se davvero avesse creduto ai segni avrebbe dovuto girare le spalle davanti a quelle sliding doors che si erano chiuse beffarde in faccia alla sua fretta.
Le era quasi sembrato che i viaggiatori sorridessero nel vedere il suo disappunto, ma questa era sicuramente solo un’impressione, la distratta deriva verso la propria vita lascia sempre poco spazio per quella degli altri.
Lei lo sapeva bene.
Le capitava spesso di chiedersi cosa sarebbe successo se si fosse messa all’improvviso ad urlare in mezzo alla folla, a cantare o a ridere.
L’avrebbero quasi certamente presa per pazza, non avrebbero sicuramente potuto capire che il suo era solo  un esperimento, un modo per scuotere il torpore che pareva rivestire tutta quell’illusione di movimento perpetuo che coinvolgeva ogni creatura la circondasse, come fossero tutti ingranaggi di un orologio costantemente ritardo.
 In ritardo per cosa poi.
Se urlare l’avrebbe fatta additare anche stare ferma stava destabilizzando.
Sempre più occhi la scrutavano, la squadravano, sempre camminando , sempre sfiorandola, sicuramente dimenticandosi di lei dopo qualche passo.
Anche un cane aveva rallentato, tirando il guinzaglio, fissandola con due occhi acquosi a bottone.
Lei non si scompose, non le interessava di quel che avveniva intorno ma ringraziò mentalmente il fatto che nessuno come lei passasse di lì in quel momento.  Lei si sarebbe fermata, avrebbe chiesto se c’era qualche problema,  nel vedere qualcuno immobile per così tanto tempo.
E questo non doveva succedere.
È vero lui non era perfetto,  ma forse lo sarebbe stato per lei.
Se solo fosse arrivato prima che qualcosa, umana o animale, le prestasse  abbastanza attenzione da avvicinarla.
Sarebbe stata  l’ultima magia, se l’era promesso, doveva solo comparire prima che qualcuno le rivolgesse la parola e l’avrebbe seguito fino in capo al mondo.
Aveva anche messo le scarpe comode per farlo….

 

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