
C'era chi voleva sposare Simon le Bon, chi conoscere biblicamente Rob Lowe, chi incontrare Madonna e chi trovarsi ad asciugare il piumone nella lavanderia a gettoni dove Nick Kamen restava in mutande.
E poi c'ero io.
Io che volevo incontrare Brunella Gasperini, Oriana Fallaci e Lella Costa.
Va che sono strana.
Allora la Sig.ra Gasperini l'ho lisciata per motivi anagrafici anche se ricordo la tristezza di mia madre quando nel '79 se ne andò, Oriana Fallaci oramai la posso solo leggere e ringraziare per tutto, mi restava Lella Costa, che a questo punto secondo me inconsciamente si sta toccando le balle.
Lella Costa che ho visto per la prima volta nell'87 con mia mamma, in uno spettacolo gratuito all'aperto in una piazza di Varese.
Passammo per caso, ci sedemmo per curiosità, mi innamorai per la vita.
Di lei, del suo modo di parlare, dei suoi repentini cambi di registro, della sua capacità di farmi piangere e ridere contemporaneamente, del suo arrivarmi dritta in pancia con parole e pause.
Da allora ho visto tutto, ho letto tutto, le scritture dei suoi spettacoli sono ormai dei libretti sbrindellati a cui ricorrere quando l'anima è indolenzita o il sorriso latita.
O quando serve un magone come dio comanda.
A volte mi accorgo di citarla, di rimandare a lei con quello che dico e scrivo, ma non è plagio, non vuole essere furto: è amore.
Mi ha aiutato a crescere la signora Costa.
Ha molto in comune con Gasperini e Fallaci, insieme a loro mi ha fatto credere che il mio modo d'essere, sconclusionato e spezzato, la mia dialettica a volte tagliente a volte incoerente, l'esprimersi a raffica e il pensare veloce, la mancanza a volte di censura sociale potessero essere sdoganate.
Che una ragazza poteva anche essere così, che qualcuno prima o poi l'avrebbe tirata giù dal rogo e l'avrebbe apprezzata. Che quel Amenità Varie, quel soprannome, non era una brutta cosa.
Che essere donna avrebbe potuto essere un viaggio bellissimo se solo fossi stata attenta a non cadere mai nel buco del suggeritore.
Questa premessa è necessaria per capire quel che segue o perlomeno per spiegarne il contesto e chiedere clemenza alla giuria.
Io ho culo, e questo è assiomatico, in qualche frangete immenso culo ed è questo il caso.
La mia amica, quella che scrive bene bene, la giornalista dotata, aveva un servizio da fare.
Intervistare Lella Costa sul suo nuovo spettacolo teatrale ed assistere poi alla rappresentazione.
Conoscendo la mia grave patologia da fan retrocessa all'età adolescenziale, decide, incautamente, di portarmi con lei.
E segna l'inizio della mai discesa verso una prestazione di fantozziana memoria.
Inizia a casa, con mia figlia grande che si raccomanda “mamma, ti prego, non sbavare” e parto.
Libreria interno tardo pomeriggio.
Lei, la signora Costa che da ora chiamerò solo Lei, arriva. Io balbetto un “è arrivata” e Sara va ad accoglierla, si gira e io non ci sono più, bloccata sul posto in mezzo agli scaffali dei libri.
Trattasi di libreria con caffè annesso e, con una manina, mi fa segno di avvicinarmi e mi comunica che ci aspettano al tavolo.
Caffè con Lei: ed ho un attacco di labirintite. Porgo educatamente la mano, balbetto un piacere, e mi siedo. Loro parlano, Sara, capendo che ormai la mia trasformazione in un caso umano è vicina, mi presenta, racconta il mio amore per Lei e spiega che risale a quello spettacolo visto con mia madre che non c'è più, sottolineando che io non l'avrei mai detto. Vero. Lei inizia a guardarmi come fossi Pelin (per chi non lo sa la più sfigata tra le eroine dei cartoni anni 80), ma senza pietà: con tenerezza. Tenerezza aumentata nel momento in cui, trovo il coraggio di darle il mio libro. Mi chiede se l'ho firmato e io rispondo spaventata “giammai” però ho scritto due parole su un foglio, probabilmente per tentare di spiegare la prestazione da psicolabile che sapevo avrei offerto.
Due parole che nelle mie intenzioni erano scritte a mano ma che nel reale ho stampato perché neanche la firma mi è venuta come avrebbe dovuto.
Lei, molto carinamente, apprezza molto il titolo e dice sorridendo che lo leggerà di certo e io aggiungo alla labirintite un accenno di tachicardia.
Il fatto di sembrare psicolabile ha la conferma quando Lei, con la sua proverbiale voce meravigliosa ed intonazione incantevole, lo sottolinea alla mia amica dopo che nota il mio assoluto stordimento nei suoi confronti, ma lo fa con tenerezza appunto, come se fossi un cucciolo un po' rintronato.
Ed è in effetti con “affetto e tenerezza” la dedica che mi fa sul suo libro uscito proprio martedì.
Poi la presentazione e lo spettacolo teatrale e la visita in camerino per un altro saluto coronano una giornata da incorniciare e mettere nel posto più caro: nella memoria.
Una volta a casa il racconto a Lui.
Che ride e mi fa notare che da quello che dico ero veramente un cucciolo rintronato, un po' come Armando, il nostro splendido gattino, che non puoi non amare anche riconoscendone i limiti: i geni son fatti diversamente.
È ormai l'una passata quando lo sveglio tirandomi tutte e due le mani sulla faccia e scrollando la testa, nel buio della stanza, mentre mi dico sconsolata “sono una cogliona, sono una cogliona, se non Le davo il libro potevo far finta di credere che Le sarebbe piaciuto!”
Ed è esattamente in quel momento che capisco che il mio culo non è solo immenso ma infinito.
Al posto di buttarmi dal letto ha riso e mi ha detto, girandosi sul fianco, “Sì va bene cogliona...adesso però dormi ”
p.s. se vi dovesse capitare di vedere in cartellone “Nuda proprietà”, andate a teatro, raramente si è vesto qualcosa di più bello, e non a detta mia che sono ovviamente di parte.
E poi c'ero io.
Io che volevo incontrare Brunella Gasperini, Oriana Fallaci e Lella Costa.
Va che sono strana.
Allora la Sig.ra Gasperini l'ho lisciata per motivi anagrafici anche se ricordo la tristezza di mia madre quando nel '79 se ne andò, Oriana Fallaci oramai la posso solo leggere e ringraziare per tutto, mi restava Lella Costa, che a questo punto secondo me inconsciamente si sta toccando le balle.
Lella Costa che ho visto per la prima volta nell'87 con mia mamma, in uno spettacolo gratuito all'aperto in una piazza di Varese.
Passammo per caso, ci sedemmo per curiosità, mi innamorai per la vita.
Di lei, del suo modo di parlare, dei suoi repentini cambi di registro, della sua capacità di farmi piangere e ridere contemporaneamente, del suo arrivarmi dritta in pancia con parole e pause.
Da allora ho visto tutto, ho letto tutto, le scritture dei suoi spettacoli sono ormai dei libretti sbrindellati a cui ricorrere quando l'anima è indolenzita o il sorriso latita.
O quando serve un magone come dio comanda.
A volte mi accorgo di citarla, di rimandare a lei con quello che dico e scrivo, ma non è plagio, non vuole essere furto: è amore.
Mi ha aiutato a crescere la signora Costa.
Ha molto in comune con Gasperini e Fallaci, insieme a loro mi ha fatto credere che il mio modo d'essere, sconclusionato e spezzato, la mia dialettica a volte tagliente a volte incoerente, l'esprimersi a raffica e il pensare veloce, la mancanza a volte di censura sociale potessero essere sdoganate.
Che una ragazza poteva anche essere così, che qualcuno prima o poi l'avrebbe tirata giù dal rogo e l'avrebbe apprezzata. Che quel Amenità Varie, quel soprannome, non era una brutta cosa.
Che essere donna avrebbe potuto essere un viaggio bellissimo se solo fossi stata attenta a non cadere mai nel buco del suggeritore.
Questa premessa è necessaria per capire quel che segue o perlomeno per spiegarne il contesto e chiedere clemenza alla giuria.
Io ho culo, e questo è assiomatico, in qualche frangete immenso culo ed è questo il caso.
La mia amica, quella che scrive bene bene, la giornalista dotata, aveva un servizio da fare.
Intervistare Lella Costa sul suo nuovo spettacolo teatrale ed assistere poi alla rappresentazione.
Conoscendo la mia grave patologia da fan retrocessa all'età adolescenziale, decide, incautamente, di portarmi con lei.
E segna l'inizio della mai discesa verso una prestazione di fantozziana memoria.
Inizia a casa, con mia figlia grande che si raccomanda “mamma, ti prego, non sbavare” e parto.
Libreria interno tardo pomeriggio.
Lei, la signora Costa che da ora chiamerò solo Lei, arriva. Io balbetto un “è arrivata” e Sara va ad accoglierla, si gira e io non ci sono più, bloccata sul posto in mezzo agli scaffali dei libri.
Trattasi di libreria con caffè annesso e, con una manina, mi fa segno di avvicinarmi e mi comunica che ci aspettano al tavolo.
Caffè con Lei: ed ho un attacco di labirintite. Porgo educatamente la mano, balbetto un piacere, e mi siedo. Loro parlano, Sara, capendo che ormai la mia trasformazione in un caso umano è vicina, mi presenta, racconta il mio amore per Lei e spiega che risale a quello spettacolo visto con mia madre che non c'è più, sottolineando che io non l'avrei mai detto. Vero. Lei inizia a guardarmi come fossi Pelin (per chi non lo sa la più sfigata tra le eroine dei cartoni anni 80), ma senza pietà: con tenerezza. Tenerezza aumentata nel momento in cui, trovo il coraggio di darle il mio libro. Mi chiede se l'ho firmato e io rispondo spaventata “giammai” però ho scritto due parole su un foglio, probabilmente per tentare di spiegare la prestazione da psicolabile che sapevo avrei offerto.
Due parole che nelle mie intenzioni erano scritte a mano ma che nel reale ho stampato perché neanche la firma mi è venuta come avrebbe dovuto.
Lei, molto carinamente, apprezza molto il titolo e dice sorridendo che lo leggerà di certo e io aggiungo alla labirintite un accenno di tachicardia.
Il fatto di sembrare psicolabile ha la conferma quando Lei, con la sua proverbiale voce meravigliosa ed intonazione incantevole, lo sottolinea alla mia amica dopo che nota il mio assoluto stordimento nei suoi confronti, ma lo fa con tenerezza appunto, come se fossi un cucciolo un po' rintronato.
Ed è in effetti con “affetto e tenerezza” la dedica che mi fa sul suo libro uscito proprio martedì.
Poi la presentazione e lo spettacolo teatrale e la visita in camerino per un altro saluto coronano una giornata da incorniciare e mettere nel posto più caro: nella memoria.
Una volta a casa il racconto a Lui.
Che ride e mi fa notare che da quello che dico ero veramente un cucciolo rintronato, un po' come Armando, il nostro splendido gattino, che non puoi non amare anche riconoscendone i limiti: i geni son fatti diversamente.
È ormai l'una passata quando lo sveglio tirandomi tutte e due le mani sulla faccia e scrollando la testa, nel buio della stanza, mentre mi dico sconsolata “sono una cogliona, sono una cogliona, se non Le davo il libro potevo far finta di credere che Le sarebbe piaciuto!”
Ed è esattamente in quel momento che capisco che il mio culo non è solo immenso ma infinito.
Al posto di buttarmi dal letto ha riso e mi ha detto, girandosi sul fianco, “Sì va bene cogliona...adesso però dormi ”
p.s. se vi dovesse capitare di vedere in cartellone “Nuda proprietà”, andate a teatro, raramente si è vesto qualcosa di più bello, e non a detta mia che sono ovviamente di parte.