
Avete presente quando una canzone diventa un simbolo, voi ne riconoscete la bellezza, ma alla fine c’e’ qualcosa che non vi torna?
Con Quello che le donne non dicono per me e’ sempre stato un po’ cosi’, era una delle preferite di mia nonna, che amavo alla follia, quando la sentiva magonava sempre un po’ e questo ha reso difficile ascoltarla con obbiettivita’.
Non so se negli anni io mi ci sia mai riconosciuta, certo e’ che adesso, quella donna li’, come direbbe un Benigni d’annata, nun me somiglia pe’ niente.
E non trovo che assomigli alle donne in generale.
Come volesse dare di noi un’immagine che non ci appartiene, migliore, ma non nel senso buono.
Nel senso convenzionale.
Cominciamo dicendo che descrive una donna triste, ma triste tanto, che soffre e nasconde, che vive nei ricordi, talmente dimenticata da chi ha accanto da non accorgersi di quello che gravita attorno.
Ragazze io non sono per i rimedi drastici ma lo Xanax esiste, conosco donne deliziose che ne fanno uso e sono molto spesso l’anima della compagnia.
Ma senza voler andare sui rimedi chimici c’e’ sempre il caro vecchio liberatorio Vaffanculo.
Costa poco, non impegna, si mette con tutto e se avrete l’accortezza di farlo seguire dalla parola Marsala o Pantone, che pare sia il colore dell’anno, sarete anche di moda.
O andate sul fisico, mi giurano che smontare le librerie sia un toccasana, se poi, gia’ che ci siete, volete spostare i divani potrebbe essere il nirvana.
Quello che pero’ credo sia piu’ ingannevole e fuorviante del testo, e’ il passaggio “ ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro si’”.
Balle, enormi, pietose, incommensurabili balle.
Perche’ noi donne ci stanchiamo, anche quando sorridiamo, quando diciamo un si’ tirato, quando lo diciamo col cuore, quando facciamo finta di ridere e vorremmo sfanculare il mondo, ecco noi, in quel momento li’ siamo stanche. Ma stanche stufe…ma stufe marce.
E non passi il messaggio che ridiamo fuori e piangiamo dentro in quanto martiri, votate alla felicita’ altrui, noi ridiamo fuori perche’ vogliamo farlo, perche’ cosi’ pensiamo meno e le nostre ansie, paturnie: il nostro male di vivere lo condividiamo solo con poche elette anime affini.
Perche’ cosi’ ci va, perche’ la pieta’ degli altri non ci serve, a noi serve poter dimenticare un attimo, creare un sorriso, vivere una gioia per effimera che sia.
Quando il peso sul cuore non e’ piu’ sopportabile lo dividiamo, in due, quattro, otto e questo dipendera’ da quanto siamo state fortunate negli incontri della vita.
Si chiama ridistribuzione del dolore.
E’ una cosa che noi ragazze facciamo da sempre.
Prendiamo l’eccesso di fatica e tristezza e lo depositiamo in mani che ci amano, ed e’ bellissimo vedere il processo di cambiamento.
Il dolore in quelle mani si plasma e mentre ci parlano e ci confortano, pare quasi di vederle, mentre lo rimodellano, lo allungano, lo fanno a pezzetti, che usano poi per costruire dei piccoli capolavori.
Che possono essere la consapevolezza, una soluzione, una riflessione e se le mani sono molto abili addirittura una risata.
E dopo aver ripreso il nostro fardello ormai ridimensionato e convertito, ripartiamo.
Con entusiasmo, ancora un poco smorzato, ancora zoppicante ma assolutamente intenzionato a darci una scossa.
Ed e’ cosi’ che quell’analisi medica ci fa sempre paura ma iniziamo a conviverci, e’ cosi’ che il nostro regalare sogni, anche solo per immagini ci pare un bel modo di incanalare le energie.
Perche’, far credere a qualcuno di poter essere la reginetta del ballo, magari solo per il tempo di un click e’ un trucco di radianza non da poco, una di quelle cose che non riesce a tutti.
E parlando con un’amica virtuale forse le facciamo capire fino in fondo cosa non le e’ mai piaciuto di quella canzone.
E riusciamo a farlo perche’ le mostriamo tutte le nostre anime, quelle cialtrone postate in bacheca e quelle sofferte condivise in privato.
Perche’ noi donne non siamo dolcemente complicate, siamo un casino immane, che a volte di dolce non ha proprio niente.
Ma va bene cosi’.
Perche’ quella cosa che ai piu’ parrebbe essere una follia, spesso e’ solo una manutenzione all’anima.
Con Quello che le donne non dicono per me e’ sempre stato un po’ cosi’, era una delle preferite di mia nonna, che amavo alla follia, quando la sentiva magonava sempre un po’ e questo ha reso difficile ascoltarla con obbiettivita’.
Non so se negli anni io mi ci sia mai riconosciuta, certo e’ che adesso, quella donna li’, come direbbe un Benigni d’annata, nun me somiglia pe’ niente.
E non trovo che assomigli alle donne in generale.
Come volesse dare di noi un’immagine che non ci appartiene, migliore, ma non nel senso buono.
Nel senso convenzionale.
Cominciamo dicendo che descrive una donna triste, ma triste tanto, che soffre e nasconde, che vive nei ricordi, talmente dimenticata da chi ha accanto da non accorgersi di quello che gravita attorno.
Ragazze io non sono per i rimedi drastici ma lo Xanax esiste, conosco donne deliziose che ne fanno uso e sono molto spesso l’anima della compagnia.
Ma senza voler andare sui rimedi chimici c’e’ sempre il caro vecchio liberatorio Vaffanculo.
Costa poco, non impegna, si mette con tutto e se avrete l’accortezza di farlo seguire dalla parola Marsala o Pantone, che pare sia il colore dell’anno, sarete anche di moda.
O andate sul fisico, mi giurano che smontare le librerie sia un toccasana, se poi, gia’ che ci siete, volete spostare i divani potrebbe essere il nirvana.
Quello che pero’ credo sia piu’ ingannevole e fuorviante del testo, e’ il passaggio “ ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro si’”.
Balle, enormi, pietose, incommensurabili balle.
Perche’ noi donne ci stanchiamo, anche quando sorridiamo, quando diciamo un si’ tirato, quando lo diciamo col cuore, quando facciamo finta di ridere e vorremmo sfanculare il mondo, ecco noi, in quel momento li’ siamo stanche. Ma stanche stufe…ma stufe marce.
E non passi il messaggio che ridiamo fuori e piangiamo dentro in quanto martiri, votate alla felicita’ altrui, noi ridiamo fuori perche’ vogliamo farlo, perche’ cosi’ pensiamo meno e le nostre ansie, paturnie: il nostro male di vivere lo condividiamo solo con poche elette anime affini.
Perche’ cosi’ ci va, perche’ la pieta’ degli altri non ci serve, a noi serve poter dimenticare un attimo, creare un sorriso, vivere una gioia per effimera che sia.
Quando il peso sul cuore non e’ piu’ sopportabile lo dividiamo, in due, quattro, otto e questo dipendera’ da quanto siamo state fortunate negli incontri della vita.
Si chiama ridistribuzione del dolore.
E’ una cosa che noi ragazze facciamo da sempre.
Prendiamo l’eccesso di fatica e tristezza e lo depositiamo in mani che ci amano, ed e’ bellissimo vedere il processo di cambiamento.
Il dolore in quelle mani si plasma e mentre ci parlano e ci confortano, pare quasi di vederle, mentre lo rimodellano, lo allungano, lo fanno a pezzetti, che usano poi per costruire dei piccoli capolavori.
Che possono essere la consapevolezza, una soluzione, una riflessione e se le mani sono molto abili addirittura una risata.
E dopo aver ripreso il nostro fardello ormai ridimensionato e convertito, ripartiamo.
Con entusiasmo, ancora un poco smorzato, ancora zoppicante ma assolutamente intenzionato a darci una scossa.
Ed e’ cosi’ che quell’analisi medica ci fa sempre paura ma iniziamo a conviverci, e’ cosi’ che il nostro regalare sogni, anche solo per immagini ci pare un bel modo di incanalare le energie.
Perche’, far credere a qualcuno di poter essere la reginetta del ballo, magari solo per il tempo di un click e’ un trucco di radianza non da poco, una di quelle cose che non riesce a tutti.
E parlando con un’amica virtuale forse le facciamo capire fino in fondo cosa non le e’ mai piaciuto di quella canzone.
E riusciamo a farlo perche’ le mostriamo tutte le nostre anime, quelle cialtrone postate in bacheca e quelle sofferte condivise in privato.
Perche’ noi donne non siamo dolcemente complicate, siamo un casino immane, che a volte di dolce non ha proprio niente.
Ma va bene cosi’.
Perche’ quella cosa che ai piu’ parrebbe essere una follia, spesso e’ solo una manutenzione all’anima.