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LA PRIMA NOTTE DEL MONDO 

12/31/2015

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La dolce Mammy ha chiesto d'inventare una storia di fine anno con questi tre elementi...quattro se ci mettiamo la macchia, non so se fosse voluta...Mammy spero che ti piaccia, io mi sono divertita, e un po' emozionata, a scriverla...grazie e buon anno.


Forse aveva messo troppa farina.
L'impasto giallo si sgretolava tra le mani in piccoli pezzi, sembravano coriandoli.
E dire che aveva seguito la ricetta pedissequamente, come dicevano quelli bravi, senza fare di testa sua, senza inventare, lei che viveva inventando storie si era affidata, per la prima sera della sua nuova vita, a cose scritte da altri.
Forse non era troppa la farina, la farina era giusta, forse erano le uova ad essere piccole.
Ne aggiunse un altro e ricominciò ad impastare, facendo attenzione che l'albume non rotolasse fuori dalla spianatoia, lavorando con la mano di taglio, arginando il rivolo gelatinoso.
Era inutile, non sarebbe mai stata capace di seguire le regole, andava a sensazioni lei, ad umore, ad amore.
Metteva amore in tutto quello che faceva, fosse stato pulire il bagno o preparare dei tagliolini non cambiava nulla, lei ci metteva passione, estro, fantasia.
La sua casa era un continuo lavori in corso, i mobili non dovevano mai mettersi troppo comodi, scegliersi un angolino sicuro.
In un pomeriggio annoiato, in una giornata di ristagno d'anima, avrebbero potuto ritrovarsi altrove senza riuscire nemmeno ad accorgersene.
Ecco ora andava meglio, la pasta era elastica, la sentiva sotto le dita, mentre la tirava, la ripiegava su se stessa, schiacciandola con il palmo della mano, in un movimento antico che ricordava d'aver visto tante volte, in piedi, sulla sedia di cucina, mentre sua nonna preparava i piatti delle feste.
Quei piatti riservati al Natale in famiglia, quei piatti che la nonna stava attenta a non riproporre durante l'anno, non per pigrizia, ma per creare un'aspettativa, un legame tra quello che avrebbe portato in tavola e quello che c'era nel suo cuore.
Sembrava perfetta adesso, guardò la ricetta e sorrise, era irrecuperabile, anche quando tutto indicava una via lei prendeva quella che l'istinto le suggeriva.
Non che avesse avuto sempre ragione, anzi, ma non ne poteva fare a meno.
Aveva capito da tempo che seguendo l'istinto non avrebbe avuto rimpianti.
Infarinò il mattarello, divise la pasta in 4 parti uguali e iniziò a stenderla.
In fondo, pensò, che se adesso stava cucinando era perché aveva fatto di testa sua.
Per anni le sue amiche avevano tentato di convincerla a mollare il colpo, o lo stronzo, come erano solite chiamare amorevolmente la persona della sua vita.
E a pensarci bene non è che avessero tutti i torti, visti gli indizi, ma loro non vedevano gli occhi.
O almeno li vedevano, ma ne vedevano solo il colore, quel verde sfrontato, l'espressione da gatto randagio, l'ironia.
Non li vedevano mai seri e malinconici, non li vedevano velarsi di passione o tristezza, raramente ridere di gioia.
Lei a quegli occhi aveva voluto credere, anche quando loro, gli occhi, non sapevano esattamente cosa stessero dicendo, anche quando erano convinti di dimostrare altro.
Lei sapeva cos'era lui, lo aveva intuito, ne aveva scorto a volte il bagliore.
Erano lampi tra il cinismo, lame di luce improvvise.
Tante volte si era chiesta se non fosse solo illusione, se non fosse diventata come tutte quelle che passavano l'esistenza ad attendere, confidando in un miracolo e ottenendo solo una sequenza ininterrotta di ricorrenze solitarie da appuntare sul calendario.
Ma poi c'era stata la sera.
Quella sera.
Qualche giorno al Natale, giusto un anno prima, interno notte, la sua camera da letto, le lenzuola sgualcite, l'ultimo bacio ancora addosso, lei che si alza per andare in bagno e lui che le afferra il polso riportandola verso il materasso, l'ha fa sedere a cavalcioni sulle sue gambe incrociate, l'abbraccia stretta e le dice “stai ancora un attimo qui, così, stringimi, non ti muovere”.
Lei l'aveva guardato e aveva capito.
Lì su quel letto dozzinale, comprato con poco, con le luci delle decorazioni natalizie della strada che filtravano dalla tapparelle, lasciate di proposito rade per vedere gli arabeschi che creavano sul muro dietro la testata, aveva capito.
Capito che aspettare era bene, che non stava aspettando che lui cambiasse, ma che lui capisse, che accettasse di aver trovato il suo posto nel mondo.
Era stato un anno diverso, meno triste, meno assillante, cambiare prospettiva l'aveva fatta sentire libera e la libertà l'aveva migliorata.
Si accorse di avere una lacrima all'angolo dell'occhio, questa volta era una lacrima buona, era una lacrima di serenità.
Ecco quello che voleva, la serenità, di felicità gliene aveva data tanta negli anni, adesso voleva la serenità per godersela.
Finì di tirare la pasta, la ripiegò su se stessa, la tagliò in tante fette uguali che una volta srotolate avrebbe infarinato e lasciato ad asciugare.
Con il dorso della mano asciugò anche i suoi occhi, che adesso lacrimavano copiosi mentre un sorriso che sfociava il una risata sommessa riecheggiava nella cucina.
Andò in bagno a prepararsi, vide lo sfacelo che il pianto aveva provocato e fece spallucce, chissenefrega pensò, il fondotinta l'hanno inventato anche per questo.
Diede l'ultima ripassata alle ciglia con il mascara nero, pulì una minuscola macchia di kajal sotto l'occhio e guardò il risultato.
Era pronta, per l'ultimo giorno dell'ultimo anno della sua vecchia vita.
Le sue cose erano già tutte qui, aveva deciso di passare un ultimo 31 dicembre a casa con la sua famiglia poi sarebbe volato da lei, dopo tanti anni di un fidanzamento tirato per le lunghe, ognuno facendo la propria vita e tenendo l'altro come un alibi per non impegnarsi mai troppo, qualche mese prima aveva detto basta.
E poi la telefonata di quella mattina, “sai ho pensato...che se dobbiamo iniziare a vivere insieme mi piacerebbe regalare anche a quest'anno un giorno di noi...arrivo stasera.”
Il campanello suonò imperioso, lei uscì dal bagno fasciata nel frusciante abito verde e si diresse alla porta.
Mentre percorreva il corridoio il pensiero andò bizzarramente a Esopo, a quella volpe arrogante che decretava l'immaturità dell'uva per nascondere la sua inadeguatezza, pensò alla volpe e sorridendo disse “fanculo”, e schiacciò il pulsante per sganciare il cancello alla sua di uva, che si era, con pazienza, andata a prendere restando immobile.

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