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LE ACCEZIONI DELL'AMORE

5/7/2015

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E alla fine hai vinto tu.
I bastardi vincono sempre.
Sono subdoli, sono violenti, sono spietati.
Ti prendono mentre non te lo aspetti, mentre sei impegnata a ridere, sognare, litigare, amare, mentre sei impegnata a vivere.
I bastardi son cattivi, ma non tutti cattivi allo stesso modo.
Ci sono quelli che hanno un minimo di compassione e fanno un buon lavoro, netto, pulito, subitaneo.
Atroce ma veloce.
Sono quelli che non ti danno tempo di respirare, di pensare, di tentare di venire ai patti con la tua casualità passeggera, col tuo essere effimero e incidentale.
Sono quelli che ti conservano i ricordi.
Fanno malissimo, tolgono il fiato e le forze, ma salvano i pensieri e ti regalano l’illusione di un per sempre.
Sono brutali ma dimostrano pietà.
Hanno uno sporco lavoro da fare e lo fanno bene, velocemente.
Un colpo secco.
E poi ci sei tu.
Che sei un vigliacco, che l’hai illusa di poter vincere, che hai tenuto fissa la tua mano sulla sua testa.
Non la sentiva quasi a volte, ma era lì sempre, non la vedeva ma c’era, talora l’hai usata per accarezzarla e darle il sogno di una nuova vita, ma non appena ci credeva la tua mano diventava un artiglio che con forza la respingeva sott’acqua ed era tutto un inghiottire, un prendere fiato, agitarsi convulsa, fino a quando non riemergeva sputacchiando e col respiro corto.
E allora con l’aria immagazzinava vita, tanta quanta le riusciva di afferrare, ma era vita sopra le righe, rutilante confusa.
Era vita come se non ci fosse stato un domani.
Perché lo sapeva che poteva non esserci un domani.
Sei un bastardo vero, sei bestiale, e io ti odio, l’hai  portata  a ringraziarti per averle insegnato che vivere è bellissimo e che i rimpianti sono un peccato mortale.
Hai fatto credere a me che le avevi fatto bene, che le avevi lenito le tristezze e mostrato la via della gioia.
E io mi odio per aver pensato che non eri poi così tremendo, se lei ti considerava un male con le attenuanti.
Ti sei accanito, l’hai presa per sfinimento.
La mia ragazzina che era un sacco di cose.
Un paio di calzoncini da basket indossati con sfacciataggine su un’abbronzatura color cioccolato in una sera anni 80, al ritorno da una delle poche vacanze non passate insieme, con tante cose da raccontare, col sorriso stampato in faccia e quella testa di ricci così simili a quelli della mia bambina adesso.
Una mano che mi tiene il sellino della bicicletta arancione nel tentativo di non farmi andare a testa in giù in un fosso.
Dita che con pazienza prendono i lacci delle scarpe e a rallentatore fanno asole e intrecci per creare un fiocco e   adesso fallo tu, vediamo se hai capito, e io che mi impegno con la punta della lingua che spunta appena dalle labbra, concentrata, che deluderti non era tra le opzioni.
Il primo moroso di seconda mano, un usato garantito.
Le urla e le tirate di capelli, le mani sulle orecchie e lalalalalalala mentre parlo per non ascoltarmi e farmi arrabbiare.
Il comodino spostato di notte per unire i letti e la sveglia puntata per rimettere tutto a posto prima della chiamata a colazione.
Le telefonate quiz che non hanno ne’un ciao ne’un vaffanculo di contorno e come ricompensa l’idea di essere sempre e per sempre la tua memoria di scorta.
I film a letto, le schifezze da mangiare e le prime file al cinema.
Gli aperitivi, e i pranzi di Natale, lo scambio dei vestiti.
E giura, giura che non lo dici a nessuno.
E questa volta non ti credo più, sei una stronza.
La mia incapacità di negarti qualcosa, dirti sempre sì, anche quando è tutto e subito.
Tu che mi ami anche quando sono insofferente.
Il gelato a tre gusti e le serate passate a giocare a nascondino, e dire fare baciare lettera o testamento?
E campana e la cucca, e tu che sei più brava di me in tutto, che non mi hai mai preso in giro anche se sono un sacchettino senza coordinazione alcuna e mi scegli lo stesso in squadra.
Che lo senti come un obbligo a volte, e mi odi  per essere costantemente presente, come un lascito ingombrante di cui non ti puoi liberare.
Salvo poi accorgerti che sono un lascito che puoi detestare solo tu, che non si azzardassero gli altri, perché sono tua.
Mi hai fatto sentire un lascito prezioso per tutta la vita.
Hai aspettato di avere un ultimo fine settimana con me, mi hai regalato una telefonata che cazzo una volta nella vita dovrebbero avere tutti.
E dammi un bacio amore detto al microfono e io che ti avrei baciata per sempre.
Hai regalato un fine settimana ai ragazzi e poi sei volata via.
Ma non lontano, solo dietro l’angolo, perché come dice Sant’Agostino, io sono sempre io e tu sei sempre tu.
E i verbi al passato non faranno mai per te. Tu sei.
Tanto so perfettamente sempre cosa mi diresti, devo solo farti il verso come ho fatto per quasi 50 anni, e cosa vuoi che sia…
Tu sei e resti l’amore in tutte le sue accezioni.
Hai passato la vita a farmi regali anche quando non te ne rendevi conto.
Perché negli unici due messaggi vocali che mi hai mandato avresti potuto dirmi di tutto, conoscendoci poteva anche essere un vai a dar via il culo.
E invece no…in entrambi mi dici ti voglio bene…e in uno, prima di dirmelo, ridi.
E cazzo...ridi per sempre.

 

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