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UN BACIO IN FRONTE E UNO SULLE LABBRA

5/6/2016

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Immagine
Si stava asciugando il viso, che già guidare con il riverbero del primo sole di maggio negli occhi non era impresa da poco, ci mancavano anche le lacrime.
Ma non è che ci potesse fare molto, ormai era rassegnata.
Le sue tracimazioni idriche oculari, sempre state copiose, con l'età stavano peggiorando, arrivando a sprofondare in abissi imbarazzanti.
La situazione precipitava se veniva a contatto con arti varie, leggere alcuni brani diventava impossibile senza lunghe pause, spese a deglutire, ma era la musica a fregarla su tutti i fronti.
Non servivano cose eccelse, bastava riconoscersi in un passaggio, in un sentimento, in un dolore, ed era il disastro.
Questa canzone poi era orologio: le note partivano e lei piangeva.
Era bellissima, ma soprattutto era “loro”.
Probabilmente era stata scritta per un amore tra adulti, ma vuoi mettere quanto era più persempre se riferita a lei e sua figlia?
C'era tutto.
Quel trovarsi chiusa dentro una gabbia che avrebbe dovuto chiamare casa, una gabbia che aveva aiutato a costruire, perché le sue responsabilità lei se le sapeva prendere, le avevano insegnato bene.
La paura di soffocare e tutto l'amore di cui era capace frantumato a terra, quella voglia di dormire sempre e l'impressione di non poter essere il meglio per lei che era stata voluta e amata.
Lei che la guardava come fosse il sole senza sapere che il calore che sentiva era quello che aveva dentro, perché il sole che guardava era come spento.
E , proprio grazie al sole che sua figlia non sapeva di essere, alla fine aveva deciso di togliere il disturbo da quella casa che non aveva mai sentito sua, aveva preso quella manina minuscola e ci si era appoggiata con tutta la stanchezza di quei pochi anni che sembravano secoli.
Si era appoggiata a quella creatura che parlava in un soffio, che l'aspettava dietro i vetri senza mai chiedere, sperando solo di vederla arrivare.
Avrebbe voluto che capisse che grazie a lei la paura di precipitare se ne era andata, in un momento in cui precipitare era la condizione unica.
Che, anche se aveva solo tre anni, era l'unica in grado di tenere la rete tesa, per permetterle di trasformare una culata bestiale in un salto mortale con avvitamento da applausi a scena aperta.
E lo faceva con una dignità immensa e innaturale per quei miseri 36 mesi.
Non era mai stata invadente, non aveva mai preteso, e adesso si trascinava da 21 anni quegli occhi dolci e trasparenti e quell'anima al vento sempre in cerca di un porto sereno.
Ma a differenza della canzone era lei, la frignona, a dover chiedere scusa per una somiglianza che aveva reso un poco aliena la sua bambina.
Esattamente come lei, quella figlia meravigliosa, era un strano essere, viveva in un mondo suo, inaccessibile ai più, fatto di fantasia, amore, pensieri pesanti e sogni leggeri, quasi impalpabili, che avvolgevano tutto e sfuocavano i confini di una vita che non era mai abbastanza magica.
Avrebbe voluto che capisse che era un momento, che poi sarebbe passato e sarebbe servito.
Da grande, quando il vento si sarebbe calmato, quel suo essere aliena le avrebbe fatto riconoscere altri alieni, che tra extraterrestri ci si annusa e ci si augura lunga vita e prosperità, con loro sarebbe stata a casa, anche ad anni luce di distanza.
Ma voleva anche raccontarle che quel vento non sarebbe sparito del tutto, che sarebbe restato latente, pronto a scombussolarle cuore e pensieri, che quelle come loro non erano fatte per l'immobilità emotiva.
Voleva che capisse che era un bene, che era una bella cosa, anche se faceva soffrire, anche se volte veniva voglia di dire basta, di sognare 24 ore da sicura granitica e inamovibile, anche solo per tirare il fiato, ma che comunque c'erano sempre loro due, bastava darsi il cambio per proteggersi mentre il vento tirava troppo.
Avrebbe voluto anche insegnarle a fregarsene delle battute d'arresto, di coccolarle e proteggerle, perché era da quelle che si imparava a cadere con grazia e rialzarsi con un volteggio.
Ma c'era tempo per questo, adesso l'unica cosa che voleva era vederla arrivare, darle un bacio sulla fronte, uno sulle labbra e ringraziarla per averle fatto passare la paura di vivere mentre le augurava buon compleanno.

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